Non credo ai miei occhi per tutta questa
sperfezione / pronunciata come montagna
panorama del brutto / incompiuta
(Luigia Sorrentino)
A volte mi domando come un corpo così pesante, quale è quello del nostro pianeta, che continuamente partorisce terra e mare e montagne e creature di ogni genere e specie in tutte le stagioni, sia così lieve, visto dal cosmo e visto che galleggia e fluttua, e non posso non stupirmi nel pensare che non sia densa la materia che lo sorregge, visto che poi è la stessa lievissima sostanza che noi respiriamo, perché si traduce in cielo e aria ed è così leggera da passare le barriere minuscole degli alveoli nei nostri polmoni, ci colonizza il sangue con il sole.
E poi penso a noi, che sul suo corpo siamo un niente e riusciamo, forse resuscitando, da secoli e secoli a crederci pensanti e dunque pesanti, consistenti, corpi che hanno un potere, un potere capace di schiacciare i propri simili e cambiare la storia di popolazioni intere, non solo di esigui gruppi di migranti, e modificare in questo modo la faccia del pianeta.
Noi, lo siamo tutti migranti nell'universo, elementi di un campionario celeste, che gareggiano in circhi di stupidità all'ennesima potenza, mentre qui, il nocciolo che ci ospita corre nel circo massimo di un magnifico caos che ci è sconosciuto praticamente per intero.
Qualunque peso dell'uomo è un niente, per la terra che lo ospita, eppure sembra vero il contrario e cioè che sia la terra che pesa all'uomo, occupato a guardare in modestissime porzioni del suo occhio ormai cieco ed involuto, occhio di un recluso nella gabbia di Platone, dove la statua vede e l'uomo va tastoni.
Ricordare che la terra è solo una sfera che naviga nel cosmo e che all'interno il fuoco governa i cataclismi e le geografie di tutte le nazioni, dovrebbe permettere a tutti di inquadrare la falsa faccia di un inesistente potere, che taluni si vorrebbero arrogare nei confronti di tutti gli altri loro pari, e che se vi sono popoli a cui la terra viene negata, da sempre, questo accade per colpa di proiezioni mentali: i-deo-logie religiose, politiche, economiche... Solo falsificazioni.
Tutte provengono da un vuoto in cui l'uomo getta se stesso nella fossa e fin tanto che non si renderà conto che è la sua carne che divoraniente sarà di fatto nascita. Stragi, genocidi, deportazioni, torture, fosse comuni: questa è la polpa e la polvere della terra che abitiamo. Terra aperta al cielo che continuamente la rinasce. Morte dopo morte, dal seme più piccolo alla faglia in mezzo all'oceano muore naturalmente qualcosa che si rigenera in altro corpo.
Eppure oggi non si vede più la morte, non certo per averne capito l'estensione, dopo ore e ore di filmati e proiezioni, ed è piuttosto per incapacità a sostenere il suo con il nostro sguardo, la sua parola profondissima con il nostro esiguo superficiale silenzio, che voltiamo lo sguardo come si cambiasse canale radio o frequenza tv. Forse vedere morire è sentirsi morire e per questo è meglio altro, qualunque cosa è meglio della paura di comprendere che l'altro è noi, moltiplicato per milioni di esseri e di volte e volti e di vite, ieri e domani, tutti in questo oggi.
Elementali sono: terra, acqua, fuoco, il ceppo che vive bruciando nel grembo e rappresenta la necessità di ritrovare il nostro corpo intatto, l'origine perduta, la bolla d'aria che procrea non solo il verbo pronunciato costruendo il segno di una lingua non più madre carnale. Scrivere, credo sia stato da sempre cercare l'uomo esiliato e mi piace pensarlo come colui che ha lasciato le mura di "Il'io", teatro di quella guerra, di Troia, narrata nell'Iliade e poi nell'Odissea e l'Eneide e ancora molti altri testi.
Ma è la guerra, come quella di Troia, che si continua a cantare e che non è mai stata distrutta e oggi non c'è né sacro, né epica o poema che possa pareggiare i morti che tutte le guerre hanno conteggiato tra le proprie righe e i solchi, in pagine di terra che sono tutto ciò che mappa il mondo. Schliemann nel 1871 riscoprì la città di Ilio, noi ancora non abbiamo capito che è l'io che dobbiamo rigettare in mare per farlo viaggiare e aprire le porte al noi che è quel luogo della sacralità in cui la singolarità si fa plurale, proprio come nell'acqua tutte le gocce, nel fuoco tutte le lingue delle fiamme e nessuna è allontanabile dalle altre.
Testo pubblicato su cartesensibili il 24 gennaio 2012, come commento a "La nascita, solo la nascita", raccolta di poesie di Luigia Sorrentino. Foto di Bruno Tarraran
Gennaio 2012 - Scritto da Fernanda Ferraresso
Fernanda Ferraresso - cartesensibili.wordpress.com Architetto, scrittrice, insegnante |
Pillole di realtà e d'arte, testimonianze, cambiamenti: declinazioni del Manifesto L'Arte per l'Evoluzione. Tre categorie da esplorare: "Arte e Bellezza", "Comprendere", "Alternative".