Un uomo che viva pienamente la dimensione umana – l'uomo comune, come l'uomo immerso nella responsabilità culturale e sociale – non può prescindere dall'interrogarsi su alcuni temi importanti ed essenziali che marcano l'epoca della sua presenza al/nel mondo.
L'esistenza del suo interrogativo è antichissima: prende consistenza dal momento in cui esce dalla pangea del sentire e si affaccia sull'inquieto tersore della ragione. In quel momento, liberato dal terrore animico, s'avvia al cospetto di un nuovo terrore – quello delle presenze che chiedono risposte esaurienti, definitive, acquietanti alla luce di uno sguardo che si promuove come irraggiamento di chiarezza, scioglimento del nodo che raggruma l'accadere e il vivere – che tuttavia ha la possibilità di trovare conforto nella parte del sentimento che ha attraversato l'arcaicità del suo stesso divenire.
Questi due movimenti – della ragione e del sentimento –, dopo i millenni occidentali della dualità, sono oggi implicati – per maturazione di conoscenza, conseguente sapere – nelle interferenze reciproche, così da dimostrare l'impossibilità della separatezza nell'accoglienza della domanda, nell'elaborazione della risposta.
Su questo scenario si presenta l'azzardo della Bellezza. Molto più di altri temi cari alle domande ultime, la Bellezza si dimostra difficile da inscrivere entro un paradigma cui rapportarsi per ottenere la certezza sul nostro agire, sulla bontà dell'azione in quanto, se l'idea di Bellezza è immutabile e universale, non così la sua manifestazione, soggetta al Tempo e allo Spazio.
Tuttavia parlare di Bellezza ci permette di introdurre l'uomo all'incontro con la parte migliore di sé, farlo sentire in una relazione luminosa con se stesso e con l'altro, partecipe di qualcosa che si eleva e fluttua e in certo modo ricade sulla barbarie di ogni tempo.
Scrivendo sulla Bellezza mi viene in soccorso il breve saggio di Guido Brivio posto a conclusione del piccolo magnifico libro "Cinque meditazioni sulla bellezza" il cui autore François Cheng, nato in Cina nel 1929 e residente a Parigi dal 1949 è, primo e unico asiatico, Accademico di Francia. Il saggio di Guido Brivio affronta il tema individuando certi punti fondamentali e comuni a tutte le culture, e che sono a testimoniare l'esigenza di affidarci all’etica affinché l'estetica possa attingere a tutte le sue profondità.
Guido Brivio:
La bellezza stessa che ci troviamo di fronte ogni giorno, in tutte le sue forme, per quanto inconsapevolmente, continua a lanciarci una sfida. Ma perché noi sembriamo non volerla raccogliere – o il modo in cui la raccogliamo sembra soltanto occasionale, per non dire deviato?
Qual è il vero senso della bellezza che ogni giorno appare – nel rinnovamento inesausto e ostinato di un miracolo – davanti ai nostri occhi più o meno appannati? Perché la nostra bellezza sembra aver perso la sua verità? Perché da immagine della verità e del bene è divenuta ai nostri occhi sintomo di illusione e apparenza? Come ha potuto consumarsi questo passaggio?
Una risposta forse di questa transizione (…), si può leggere nel passaggio (…) dall'antichità al cristianesimo e dal mondo arcaico del mito a quello moderno del logos. Finché l'innocenza divina dell'apparire non era separata e contrapposta all'esperienza della verità e della profondità, finché il mondo era considerato "pieno di dei" e la realtà visibile la sua epifania, il divorzio fra bello e vero non era ancora consumato né immaginabile, e il fantasma della trascendenza non aveva ancora cominciato a popolare i sogni inquieti della metafisica. Ma con lo spostamento del vero e del sacro al di là della vita (…), questo divorzio comincia a instaurarsi. A mano a mano che la verità e la bellezza si spostano verso l'invisibile, il visibile si riduce ad apparenza e illusione, fino a divenire (…) simulacro e stereotipo, forma senza contenuto e copia senza originale (…), immagine di una immagine, che si rivolge a se stessa invece di rispecchiare l'intensità di cui è portatrice.
Una bellezza che si ponga come mera performance estetica, o come espressione di una realtà esclusivamente contingente, che non sia capace di testimoniare una verità essenziale, non può essere vera bellezza. Una bellezza che esprima violenza e inumanità non può essere vera bellezza (…). Una bellezza, cioè, che non sia in grado (…) di risalire alla propria fonte e, a partire da quella, rinnovarsi restituendosi al mondo, per condurre poi nuovamente a quell'origine – in un ciclo virtuoso che è l'opposto del circolo vizioso del modus aestheticus contemporaneo – non si può dire davvero bella.
La vera natura del bello – e dell'arte – è la rivelazione di una dimensione essenziale, il dischiudimento del regno spirituale del bene e della verità. Perciò l'appello alla bellezza non si riduce (…) all'invocazione di un dominio propriamente estetico ma si trasforma nell'affermazione di un compito autenticamente etico e spirituale. Parlare di bellezza significa interrogarsi su uno strumento fondamentale della sua comprensione del mondo (…) oltre che sulla modalità essenziale del darsi del mondo in quanto mondo. Riconoscere la trasparenza del bello alla verità e al bene significa riconoscerne la natura propria e la necessità intrinseca. Negare questo legame significa in fondo (…) negare la realtà della bellezza stessa.
(Questo) modello di bellezza e di arte (…) è eminentemente naturale in quanto vitalità creatrice inarrestabile da un lato (…) e slancio retrogrado di ogni vivente verso la pienezza del proprio essere (…) dall'altro.
È (…) in un certo senso l'unica o l'ultima speranza di redenzione per il mondo contemporaneo.
Ma si può credere davvero che la bellezza salverà il mondo? (…) Ma che cosa significa questo "salvare il mondo" (…)? Forse possiamo cercare la risposta del primo e più celebre interprete di Dostoevskij, Vladimir Solov'ev, che scrive:
"Il Bene, se diviso dalla Verità e dalla Bellezza è soltanto un sentimento indefinito, un impulso privo di forza; e la Bellezza senza Bene e Verità è soltanto un idolo. La Bellezza è quello stesso Bene e quella stessa Verità incarnata in una forma viva e concreta."
La bellezza stessa che ci troviamo di fronte ogni giorno, in tutte le sue forme, per quanto inconsapevolmente, continua a lanciarci una sfida. Ma perché noi sembriamo non volerla raccogliere – o il modo in cui la raccogliamo sembra soltanto occasionale, per non dire deviato?
Qual è il vero senso della bellezza che ogni giorno appare – nel rinnovamento inesausto e ostinato di un miracolo – davanti ai nostri occhi più o meno appannati? Perché la nostra bellezza sembra aver perso la sua verità? Perché da immagine della verità e del bene è divenuta ai nostri occhi sintomo di illusione e apparenza? Come ha potuto consumarsi questo passaggio?
Una risposta forse di questa transizione (…), si può leggere nel passaggio (…) dall'antichità al cristianesimo e dal mondo arcaico del mito a quello moderno del logos. Finché l'innocenza divina dell'apparire non era separata e contrapposta all'esperienza della verità e della profondità, finché il mondo era considerato "pieno di dei" e la realtà visibile la sua epifania, il divorzio fra bello e vero non era ancora consumato né immaginabile, e il fantasma della trascendenza non aveva ancora cominciato a popolare i sogni inquieti della metafisica. Ma con lo spostamento del vero e del sacro al di là della vita (…), questo divorzio comincia a instaurarsi. A mano a mano che la verità e la bellezza si spostano verso l'invisibile, il visibile si riduce ad apparenza e illusione, fino a divenire (…) simulacro e stereotipo, forma senza contenuto e copia senza originale (…), immagine di una immagine, che si rivolge a se stessa invece di rispecchiare l'intensità di cui è portatrice.
Una bellezza che si ponga come mera performance estetica, o come espressione di una realtà esclusivamente contingente, che non sia capace di testimoniare una verità essenziale, non può essere vera bellezza. Una bellezza che esprima violenza e inumanità non può essere vera bellezza (…). Una bellezza, cioè, che non sia in grado (…) di risalire alla propria fonte e, a partire da quella, rinnovarsi restituendosi al mondo, per condurre poi nuovamente a quell'origine – in un ciclo virtuoso che è l'opposto del circolo vizioso del modus aestheticus contemporaneo – non si può dire davvero bella.
La vera natura del bello – e dell'arte – è la rivelazione di una dimensione essenziale, il dischiudimento del regno spirituale del bene e della verità. Perciò l'appello alla bellezza non si riduce (…) all'invocazione di un dominio propriamente estetico ma si trasforma nell'affermazione di un compito autenticamente etico e spirituale. Parlare di bellezza significa interrogarsi su uno strumento fondamentale della sua comprensione del mondo (…) oltre che sulla modalità essenziale del darsi del mondo in quanto mondo. Riconoscere la trasparenza del bello alla verità e al bene significa riconoscerne la natura propria e la necessità intrinseca. Negare questo legame significa in fondo (…) negare la realtà della bellezza stessa.
(Questo) modello di bellezza e di arte (…) è eminentemente naturale in quanto vitalità creatrice inarrestabile da un lato (…) e slancio retrogrado di ogni vivente verso la pienezza del proprio essere (…) dall'altro.
È (…) in un certo senso l'unica o l'ultima speranza di redenzione per il mondo contemporaneo.
Ma si può credere davvero che la bellezza salverà il mondo? (…) Ma che cosa significa questo "salvare il mondo" (…)? Forse possiamo cercare la risposta del primo e più celebre interprete di Dostoevskij, Vladimir Solov'ev, che scrive:
"Il Bene, se diviso dalla Verità e dalla Bellezza è soltanto un sentimento indefinito, un impulso privo di forza; e la Bellezza senza Bene e Verità è soltanto un idolo. La Bellezza è quello stesso Bene e quella stessa Verità incarnata in una forma viva e concreta."
Leggi la seconda parte: "Sulla bellezza nell'architettura" »
Agosto 2013 - scritto da Adriana Gloria Marigo
Pubblicato su L'estroverso n.2, 2013 con il titolo
"Sulla Bellezza e il suo manifestarsi in architettura"
Foto di Bruno Tarraran
Adriana Gloria Marigo Poeta, critico poetico e organizzatrice di eventi culturali. Le sue poesie sono comparse in riviste specialistiche, in antologie e siti letterari. Scrive su periodici e riviste d'arte e di letteratura. I post di Adriana Gloria Marigo » |
Pillole di realtà e d'arte, testimonianze, cambiamenti: declinazioni del Manifesto L'Arte per l'Evoluzione. Tre categorie da esplorare: "Arte e Bellezza", "Comprendere", "Alternative".