Blog: L'Arte per l'Evoluzione

Pillole di realtà e d'arte, testimonianze, cambiamenti: declinazioni del Manifesto L'Arte per l'Evoluzione. Tre categorie da esplorare: "Arte e Bellezza", "Comprendere", "Alternative".

ARTE E BELLEZZA - COMPRENDERE - ALTERNATIVE - AUTORI


Sull'arte della fotografia di Ugo Locatelli
Può l'arte della fotografia favorire la comprensione di sé e della realtà?
Categoria: "Arte e Bellezza"

La domanda è sfidante, complessa e si ramifica in varie direzioni.
Provo ad annotare alcuni spunti iniziali di riflessione - per stimolare approfondimenti e sviluppi successivi - cercando di usare un linguaggio piano; tenendo però presente la raccomandazione di Einstein: Ogni cosa dovrebbe essere resa la più semplice possibile. Ma non più semplice.



L'Arte

Fra le centinaia di definizioni di questa parola-universo incontrate negli anni me ne vengono in mente due che trovo particolarmente in risonanza con il mio punto di vista. La prima, di S. Giedion: L'arte è un'esperienza fondamentale. Essa deriva dall'innato desiderio dell'essere umano di sviluppare un mezzo che gli permetta di esprimere la sua vita interiore ("L'eterno presente", 1962).

La seconda, di J. Albers: L'arte non è da guardare: è l'arte che ci guarda. Ciò che per gli altri è arte non lo è altrettanto per me e viceversa. Ciò che prima per me era o non era arte può aver perso o acquistato il suo valore nel frattempo, e anche più volte. Così l'arte non è oggetto, ma esperienza; per percepirla dobbiamo essere ricettivi. Per questo l'arte è là dove l'arte ci tocca ("Omaggio al quadrato", 1950).


La Fotografia

Molte cose sono cambiate dal 1826 (l'anno in cui N. Niepce realizzò la prima fotografia/eliografia della storia) ad oggi; e continueranno a cambiare, velocemente, con il digitale e lo sviluppo del multimediale.

Nell'arte contemporanea si registra da tempo un utilizzo crescente di un linguaggio fotografico di rottura rispetto all'immagine canonica della fotografia: la finalità non è più quella di evidenziare esteticamente un oggetto concreto, ma quella di rivelare diversi piani di lettura e le relazioni che intercorrono tra l'azione del guardare il mondo e lo stato del vedere; di conseguenza aumentano le occasioni per riflettere sul rapporto arte-fotografia. Soprattutto perché questa, mentre diventa un mezzo per l'artista, smette di essere un fine per il fotografo, che può evolversi: dispone di una maggiore libertà, di una gamma più ampia di metodi e di esperienze di indagine sul reale e di traduzione del pensiero in immagine.

Il passaggio da una condizione certa ad una aperta induce anche il fruitore a possibilità di cambiamento profondo: perché il lavoro della fotografia nell'arte contemporanea non termina con la stampa dell'immagine, ma prosegue verso un coinvolgimento e uno sguardo attivo dell'osservatore, che è sollecitato a 'pensare di più' e a prolungare la ricognizione dell'autore, diventando progressivamente 'coautore'. L'evoluzione dei procedimenti fotografici, dei processi mentali e dell'interazione fra linguaggi schiudono il campo a nuove forme del visibile. Un modo, fra i possibili, di re-imparare a osservare il mondo e lo sguardo che stiamo vivendo.


La comprensione di sé e della realtà

La sperimentazione artistica con la fotografia si è dilatata, oscillando fra temi consolidati e nuovi occhi che esplorano la realtà del nostro tempo e il suo interrogarsi. Tende a spostare il discorso fotografico dai tradizionali soggetti a riflessioni di tipo filosofico, piuttosto che emotivo, sulla natura della realtà e dell'immagine, dell'arte e dell'intreccio dei saperi.

Le ricerche di spessore possono influenzare i nostri processi di conoscenza - percezione, attenzione, memoria, linguaggio, immaginazione, pensiero - promuovendo un atteggiamento mentale di elasticità, curiosità e apertura verso nuove letture della realtà e delle immagini come 'sistema aperto'. Uno stimolo a scandagliare consapevolmente il mondo esterno e il proprio mondo interiore, attraverso l'esercizio del guardare e del riaprire ogni situazione visiva e percettiva che si presenti come definitiva. Una sorta di ingrandimento mentale che può farci rivedere criticamente comportamenti e schemi precostituiti e ripetitivi; e farci scoprire la fertile pluralità delle forme e del tempo.

In quest'ottica è possibile che emerga un rinnovato senso sia del fare fotografia sia del riflettere sulla fotografia e sul proprio sguardo; una spinta a interrogarsi più a fondo, oltre le apparenze, che diventano la superficie di un giacimento da esplorare e sperimentare. Rallentando e intensificando il processo di osservazione. Un percorso di auto-formazione che non può mai essere considerato finito o finale.

17 gennaio 2012 - scritto da Ugo Locatelli




Ugo Locatelli - www.ugolocatelli.it
Architetto ed esploratore dell'arte fotografica


Facebook Twitter Vimeo YouTube Amazon
Invia

COMMENTI

nome
email
città
commento
codice
  Copia questo codice nel campo qui sopra: 0vL6v3j
 

COMMENTI


Davide Galli | scritto 27/01/12

Il dittico fotografico che affianca il testo evidenzia una costante del lavoro 'areale' di Ugo Locatelli: un'immagine, anche quando appare statica, non viene vista e vissuta come immobile, ma è movimento ciò che l'ha creata, pensata e tutto il rimando (traduzione anglo-fonetica impossibile: "remind", nel senso di richiamare alla memoria la concezione e le possibili connessioni). E l'interazione bidirezionale con il testo 'denso e semplice' ne moltiplica i livelli di lettura.

Filippo Lezoli | scritto 26/01/12

Dice bene Stefania. L'articolo di Locatelli non parla di fotografia, o meglio, parla anche di fotografia. Immaginate un ecoscandaglio che, una volta inviato un segnale sonoro, ci restituisce un riflesso differente, distorto, un suono che è altro rispetto a quello che noi abbiamo emesso. Ecco, a mio avviso la fotografia funziona così e così deve essere intesa. Non immagine da sottoporre a mera contemplazione, ma da sottoporre a una - per così dire - contemplazione attiva. È quella restituzione differente che ci apre una strada nuova, che ci obbliga in qualche modo a essere coinvolti. Ed è camminando sulle vie che non sono ancora state battute che noi impariamo qualcosa di noi stessi e degli altri.

Stefania | scritto 26/01/12

Questo articolo in realtà non parla di fotografia, ma di quello che io chiamo "base", nel senso di fondamenta umane, quelle che permettono ad un individuo di vivere veramente e  semplicemente attraverso la consapevolezza dell'atto del percepire. Il percepire è il processo alla base di tutto. La consapevolezza di questa azione, permette il passaggio "sano" di informazione, quello che dà il medesimo valore e "potere" al mittente e al destinatario.
La fotografia è solo uno dei tanti linguaggi, nonchè strumenti, utili per inseguire l'obiettivo della consapevolezza percettiva. Credo che più ci si avvicina a questo grado di conoscenza, più la fotografia sarà maggiormente apprezzata. La valorizzazione di questa disciplina per me si innesca attraverso un processo di sintesi. La frase di Einstein "Ogni cosa dovrebbe essere resa la più semplice possibile. Ma non più semplice" è ciò che meglio spiega al meglio questo concetto. Credo che questo articolo ha la forma e la sostanza espresse nella maniera più semplice possibile. Ma non più semplice.

Rouge | scritto 25/01/12

Interessantissimo l'articolo che ho appena letto!! Qui Ugo Locatelli propone idee, stimoli a vedere/pensare differentemente da un altro o anche solo a vedere-pensare differentemente a come si vedeva-pensava solo 5 minuti prima (o un anno prima, non ha importanza). Chi guarda una immagine non è mai mero osservatore. L'immagine non è qualcosa di statico ma dinamico. A questo processo di dinamicità l'Osservatore ne fa parte e non importa che esso si trovi in uno stato di ricezione, rifiuto od indifferenza nei confronti dell'immagine. Questo stato di relatività, dinamicità e fluidità dell'arte - e quindi della fotografia - è innegabile. ...Così come è il Cosmo...

Alessandro Bertirotti | scritto 25/01/12

Concordo pienamente, specialmente dal punto di vista scientico e neuro-cognitivo, con le parole di Ugo Locatelli. Secondo la prospettiva delle mia disciplina, l'Antropologia della mente, ogni esercizio mentale umano, dunque qualsiasi funzione della nostra mente, è essenzialmente emozionale ed affettivo. Non vi è nulla che si possa conoscere se non attraverso una ricostuzione inconscia della relazione d'amore che noi stessi stabiliamo con la cosa da conoscere. È un vero e proprio "sistema aperto" e così viene definito il sistema limbico del nostro cervello, ossia quel sistema nel quale le emozioni per le cose razionali diventano parte del ragionamento stesso. Questo ultimo mio discorso è particolarmente evidente nella figura-foto-arte che appare accando alle parole di Ugo Locatelli. Un caro saluto ed i miei più cari complimenti!

Roberta Rocca | scritto 25/01/12

Ringrazio l'artista per questo scritto. È fondamentale lo sguardo, chi guarda apprende e apre porte verso la nuova realtà. L'arte accade disse Jorge L. Borges, ed è l'inizio, sempre un nuovo inizio per la gioia della nostra percezione, per la creazione di nuovi reti neurali. Grazie per questo profondo, splendido, essenziale, articolo.

Cristina | scritto 20/01/12

Mi piace la frequenza in questo testo di parole come "percorso", "processo", "passaggio": in meraviglioso contrasto con l'essenza stessa della fotografia, che per sua natura coglie un singolo momento e lo fissa per sempre.
Invece no! La fotografia è – come ogni forma d'arte – esperienza.
Nasce come passo conclusivo e sintesi di un processo di avvicinamento e comprensione, nasce come "scrittura"; diventa subito dopo passo iniziale di un percorso nuovo, per me che oggi la incontro, e la "leggo" sotto un'altra luce, e con i miei mezzi provo a ri-tradurla in pensiero.
Il tappeto dai fili intrecciati è una sublime sintesi visiva.
Illuminante la definizione dell'arte di Josef Albers. Grazie.