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Il poeta tesse i suoi versi, l'attore indossa la sua voce, il musico si cinge di suoni.

Ma il dolore smette di fluire?
E il tempo si ferma?

Eccolo il tempo sulle gradinate del teatro! Mascherato da innumerevoli volti!

Lassù, con il Caos, è Aion, chioma leonina, il tempo senza confini, l'inconsapevole infanzia, che balla su sfondi mosaicati d’oro, e confabula con le cose come fossero vive ed eterne, Aion dell’innocenza e della beatitudine.

Più in basso con il Cosmos è Cronos, il divoratore, dapprima tempo ciclico delle costellazioni e degli astri, degli dei e degli eroi, cullati dai miti che li rendono eterni.

Ma se salirai verso di lui e alzerai la testa, saprai che Cronos ornato è illusione dell'umano sentire, vedrai i suoi occhi serafici farsi grifagni, e le sue unghie mutarsi in artigli, e udrai il clangore degli idoli che si schianteranno sulla terra.

Capirai, infatti, che Cronos ciclico del mito è una burla turchese per gli omuncoli dagli occhi socchiusi.

L'uomo esce dal grembo di sua madre e vola come una freccia scoccata al grembo oscuro della terra e trascina con sé anche il divino fino ad infrangersi contro la morte come un’immagine di cartapesta.

Distogli, dunque, lo sguardo da lui prima che l’abisso entri in te, e spia nella cavea due fanciulli alati che gettano dadi. Hypnos, il sonno, stringe in pugno il suo avvizzito mazzo di papaveri, e Kairos alza una bilancia e sta in equilibrio con piedi nudi su lama affilata di rasoio.

L'uno rappresenta il rifugio dell’oblio, l'altro l'illusione della piena coscienza, che concederebbe al saggio il privilegio di dilatare nell’intensità dell’intelletto ogni punto della sua breve esistenza.

Sono lì, entrambi, Hypnos e Kairos, con ali accartocciate e tremanti.


E gli uomini che hanno posato sui loro altari il pane della gioventù e ghirlande di fiorite speranze non stanno giocando con dadi, biglie o palla. Anch’essi, come gli altri, sono morti.

Solo Kronos, dunque, il divoratore, così lineare, misurabile, definito e certo, dice la verità. E trascina le torme degli uomini, delle bestie e delle foreste, nell'abisso di un unico disperato lamento.



Per questo i poeti, e con loro gli attori e i musici, pur schiacciati sotto il tallone dell'intero olimpo, cantano parole per l'intimità rossa della rosa e della melagrana.

Per questo, pur dilaniati dai cani di cento templi, cantano parole all'alba che alza lo stendardo del sole su piane maculate di bronzo e di oro.

Per questo, pur dalle fiamme di mille roghi, cantano parole per Eros, l'Amore.

E si chiedono: Cos'è l'amore?

Celebrano così i trastulli primaverili degli amanti, i loro orgasmi estivi, i loro sospiri d’autunno, i loro brividi invernali.

Adornano con lacrime di gioia il collo eburneo di Cronos e lo ammansiscono come un agnello.




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"I volti del tempo" è uno scritto di Franco Berton. Musica di Luigi Alberton. Pubblicato da Immaginario Sonoro il 2/01/2015.